
Il successo del collocamento è stato accolto positivamente di molti analisti, che lo hanno definito come un segnale di rinnovato interesse da parte degli investitori internazionali verso il debito argentino.
L’Argentina è tornata sui mercati obbligazionari globali per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2019 con l’emissione di un nuovo bond, o “BONTE”. Buenos Aires è uno dei Paesi al mondo con la storia finanziaria più travagliata, fatta di numerosi default, il più recente dei quali solo nel 2019. Il nuovo bond ha fatto notizia anche per la cedola “monstre” da 29,5% che ha attirato l’attenzione dei cronisti finanziari e di molti investitori.
Il 29 maggio 2025 il nuovo titolo di Stato argentino, che ha una scadenza quinquennale, ha raccolto un totale di 1 miliardo di dollari. “Il successo del collocamento è stato accolto positivamente di molti analisti, che lo hanno definito come un segnale di rinnovato interesse da parte degli investitori internazionali verso il debito argentino”, sottolinea Paolo Baldessari, Responsabile Fixed Income & Alternative per l'area dell'Asset Management di Banca Generali.
Il ritorno sul mercato avvenuto all’indomani delle profonde riforme economiche dell’attuale presidente argentino Javier Milei, eletto nel 2023 proprio con una piattaforma elettorale particolarmente radicale in materia di politica economica e di bilancio.
La svalutazione del peso nei confronti del dollaro ha favorito il riposizionamento dell’economia verso l’export. Contestualmente, il drastico taglio alla spesa pubblica tramite licenziamenti e blocco di nuove assunzioni, ha riportato il bilancio in surplus di bilancio, il primo da oltre un decennio, seppur al prezzo di un significativo aumento del tasso di povertà nel Paese.
A gennaio 2025, Moody’s ha alzato il rating del credito sovrano da Ca a Caa3 e modificato l’outlook da stabile a positivo. Un giudizio però ancora profondamente nel territorio dei titoli “spazzatura”, seppur in miglioramento.
Di rilievo anche l’accordo di finanziamento con il Fondo Monetario Internazionale per 20 miliardi di dollari, di cui 12 miliardi già erogati.
“Restano tuttavia rischi significativi: l’inflazione si attesta ancora a livelli molto alti (47% su base annua), mentre la stabilità del cambio peso/dollaro dipenderà da molteplici fattori, tra cui la credibilità della banca centrale, il contesto politico interno e quello geopolitico internazionale”, avverte Baldessari.
Rendimenti molti alti, come è noto, nascondono sempre un rischio altrettanto elevato. A suggerire prudenza è innanzitutto la complessa struttura del titolo argentino. Il bond, nonostante sia denominato in pesos argentini, è acquistabile in dollari americani, una circostanza che espone gli investitori al rischio di cambio, oltre che a quello di credito.
“La struttura è pensata per attrarre capitali esteri, offrendo un rendimento elevato in un contesto di rischio sovrano ancora molto alto. Un impianto pensato per permettere all’Argentina di ricostruire, almeno parzialmente, le proprie riserve di valuta estera, in linea con quanto richiesto dal Fondo Monetario Internazionale”, spiega Baldessari.
Inoltre, gli investitori potranno beneficiare di un’opzione di vendita anticipata dopo due anni dall’emissione, in coincidenza con l’inizio della campagna elettorale presidenziale del 2027. Un meccanismo pensato per ridurre il potenziale rischio politico che tradizionalmente pesa sui conti pubblici argentini.
“Molte delle riforme introdotte dell’attuale amministrazione sono state implementate con ordini esecutivi, facilmente reversibili in caso dell’elezione di un nuovo presidente con orientamenti diversi”, avverte infatti il gestore di Banca Generali.
La presenza di elevati rischi e volatilità è una caratteristica dei mercati del debito emergente e dei Paesi “di frontiera”. Questi ultimi sono una eterogenea categoria di mercati nazionali che non raggiungono ancora lo status di mercati emergenti, a causa di vari motivi: un livello di sviluppo ancora basso seppur in aumento, restrizioni agli investimenti esteri, piccole dimensioni del mercato e conseguente ridotta liquidità.
Una volatilità che si è manifestata a pieno lo scorso aprile, all’indomani del Liberation Day con l’annuncio dei nuovi dazi del presidente Usa Donald Trump. In quell’occasione le obbligazioni di Paesi come Pakistan, Nigeria ed Egitto sono scivolate bruscamente, perdendo diversi punti percentuali in poche sedute. Terreno in parte recuperato nelle settimane successive, con l’apparente allentamento delle tensioni commerciali e l’indebolimento del dollaro USA.
I mercati di frontiera, soprattutto con i rating più bassi, sono considerati tra i segmenti di mercato più vulnerabili quando l’avversione al rischio domina tra gli investitori.
Le obbligazioni argentine, per quanto possano fare notizia e attirare l’attenzione grazie a cedole elevatissime, espongono come visto a molteplici rischi: di cambio, politico, di liquidità macroeconomico e di credito. Un trend in comune con molti bond dei Paesi emergenti e di frontiera, che solo negli ultimi due mesi, a causa di fattori esterni legati alla politica commerciale americana.
“Strumenti finanziari come i bond dei cosiddetti ‘Paesi di frontiera’, come l’Argentina, portano con sé rischi elevatissimi per gli investitori non professionali. Valutarli questi rischi a fronte dei rendimenti offerti dai titoli richiede una grande esperienza e competenza tecnica. Il ricordo del default dei cosiddetti ‘Tango bond’ avvenuta tra il 2001 e il 2002 è ancora vivo. Per questo si tratta di un segmento di mercato dove, ancora più che in altri, è fondamentale avvalersi del supporto di una gestione attiva e professionale, per attenuare tali forti rischi”, conclude Baldessari.
Il successo del collocamento è stato accolto positivamente di molti analisti, che lo hanno definito come un segnale di rinnovato interesse da parte degli investitori internazionali verso il debito argentino.