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BG Art Gallery

BG Art Gallery

A Milano prende vita un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea

Banca Generali si adopera da tempo per sostenere la cultura nelle sue varie forme espressive, in particolare negli ultimi anni, con il progetto BG ArTalent, ha intrapreso un percorso per valorizzare la creatività nelle sue espressioni più innovative e per portare nuova luce sul talento italiano.

L’intento è quello di stimolare un senso di apertura al confronto, alla diversità dei generi, delle tendenze, dei materiali, delle forme e dei contenuti; un insieme che diviene testimonianza del tempo e delle differenti espressioni della cultura artistica contemporanea. Convinti che l’arte possa contribuire a migliorare la qualità della vita diffondendo sensazioni, bellezza, dubbi, innovazione, riflessioni, spazi per lo sguardo.

Da queste premesse nasce BG ArtGallery.

Cos'è la BG Art Gallery?

La nuova BG ArtGallery si propone come luogo creativo per stimolare un senso di apertura al confronto, alla diversità dei generi, delle tendenze, dei materiali, delle forme e dei contenuti. Le opere esposte mirano a unirsi in un insieme che diviene testimonianza del tempo e delle differenti espressioni della cultura artistica contemporanea.

Alla base del nostro progetto c’è la profonda convinzione che l’arte possa contribuire a migliorare la qualità della vita.

La collezione

La collezione di BG Art Gallery si contraddistingue al momento per la presenza di 14 opere rappresentanti il meglio dell’arte contemporanea italiana.

Nel percorso espositivo si mescolano e dialogano tra loro le opere dei 5 artisti selezionati da Vincenzo De Bellis (direttore associato del Walker Art Center di Minneapolis, Usa) nell’ambito del progetto BG ArTalent e poi quelle di altri 5 esponenti di spicco dell'arte contemporanea.

Francesco Arena

L'artista

  • Nato a Torre Santa Susanna, Brindisi, nel 1978.
  • Vive e lavora a Cassano delle Murge (Bari).

Nel panorama artistico italiano e internazionale, Arena rappresenta una voce a doppio registro: da una parte il tentativo di dare continuità al ricordo di episodi della storia sia essa collettiva o personale (o spesso un misto delle due), dall’altra il recupero di elementi formali che fanno parte di una dimensione storica dell’arte, soprattutto del secondo Novecento. Sia pur investigando diversi mezzi espressivi, Arena è fondamentalmente uno scultore. Egli affronta questo mezzo in diverse modalità ed esplorando una moltitudine di materiali, da quelli più tipici - bronzo, marmo, legno - a quelli più inconsueti - sale, cenere, zucchero ecc.-. Le opere di Arena spiccano per l’elegante equilibrio tra la storia collettiva e la sua traduzione all’interno di una dimensione personale. I riferimenti alla propria biografia costituiscono spesso l’impalcatura sulla quale fonda la propria ricerca artistica.

L'opera

L’opera qui presentata è composta da una lastra di bronzo giallo lucidato a specchio di forma quadrata. Sulla diagonale della superficie l’artista ha inciso la prima delle sette asserzioni al centro del Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein: The World Is Everything That Is The Case. Sulla placca di bronzo è poggiata una coppia di frutti, mute presenze che con il tempo devono essere sostituite. Essendo la superficie lucidata a specchio chi si avvicina all’opera ne entra a fare parte specchiandosi. La scultura pertanto è un collage di rapporti legati da tempi diversi, quello eterno del bronzo e della scrittura incisa, quello immobile ma a scadenza della lastra con i frutti e quello transitorio con chi si riflette dentro passandoci.

Rosa Barba

L'artista

  • Nata ad Agrigento nel 1972. Vive e lavora a Berlino.

Vincitrice di numerosi premi e presente in mostre e rassegne internazionali, ha fatto del film il suo mezzo espressivo privilegiato. Da anni porta avanti un lavoro di ricerca e sperimentazione che attraversa il linguaggio cinematografico e scultoreo, riflettendo sulle qualità poetiche del paesaggio naturale e umano, sui luoghi come archivio della memoria e scardinando il concetto di tempo lineare. Immagini dall’esito potente, ritratti di architetture obsolete e paesaggi naturali, riprese di deserti remoti ricorrono costantemente nel suo lavoro, uniti a frammenti di testi e a scenari in cui passato e presente si intrecciano.

L'opera

L’opera qui esposta (Language Infinity Sphere - recording, 2018) è frutto di un atto performativo realizzato con una sfera d’acciaio completamente ricoperta di caratteri tipografici in piombo ricevuti in eredità da una tipografia italiana che ha chiuso dopo 40 anni di attività. Con un movimento unico e ripetitivo l’artista muove sulla tela quella sfera creando un testo frammentato che si fissa sulla tela stessa. Il lavoro è una ribellione contro la rarefazione del linguaggio contemporaneo.

Enrico David

L'artista

  • Nato ad Ancona nel 1966. Vive e lavora a Londra.

Enrico David è uno degli artisti più originali e poliedrici del panorama italiano ed internazionale. Nel suo lavoro David impiega una varietà di mezzi - tra cui scultura, pittura, installazione e opere su carta - per sviluppare una visione dinamica e unica della forma umana. Spesso mutevoli, grottesche, a volte fragili e vulnerabili, le figure di David esprimono situazioni universali dell’esperienza umana, attraverso una formulazione profondamente personale che porta con sé memorie e storie dell’artista, così come allusioni letterarie. Tutto questo si innesta in un dizionario di riferimenti visivi che spazia dall’Art Deco alle arti applicate, alle opere di inizio secolo: Andrè Gide, Dora Maar, Koloman Moser, Oskar Schlemmer e Sonya Delaunay, solo per citarne alcuni.

L'opera

Il dipinto qui esposto (Untitled, 2018) rappresenta un esemplare iconico, riflette il processo circolare inerente alla sua arte, in cui la forma umana viene modellata, rimodellata e continuamente rinnovata. È un’immagine enigmatica, una rappresentazione di un corpo umano, in particolare di un volto, effimero che emerge quasi come una nuvola dall’etere. Immateriale e velata questa immagine sembra apparire dal nulla per successivamente ritornare nel nulla.

Patrizio Di Massimo

L'artista
  • Patrizio Di Massimo, nato nel 1983 a Jesi, oggi vive e lavora a Londra, dove si è diplomato alla Slade School of Art. Ha esposto con mostre personali presso importanti gallerie e musei nazionali e internazionali.
L'opera - "Autoritratto" (2022)

Il dipinto prosegue la serie di ritratti di persone dormienti che Di Massimo ha iniziato nel 2021. In quest'opera, l'artista si concentra su se stesso, solo e assopito tra lenzuola di colore verde in compagnia solo di un personaggio elettivo.

Appoggiato sulle coperte c'è infatti il libro "I paint what I want to see" del pittore statunitense Philip Guston.

Patrizio di Massimo è molto spesso il soggetto dei sui stessi dipinti, e a proposito dei suoi autoritratti ha affermato che “l’autoritratto si compie quando c’è un coinvolgimento personale. In fondo la mia pittura è un racconto su di me. Io stesso, solo nello studio, faccio da modello.

Ogni dipinto è una seduta psicoanalitica, e quello che faccio è mettermi a nudo di fronte al pubblico”. Tale operazione di messa a nudo è plasmata dai riferimenti alla storia della pittura, una storia che Di Massimo reinterpreta liberamente.

Lara Favaretto

L'artista

  • Nata a Treviso nel 1973. Vive e lavora a Torino.

Nelle sue opere alcuni dei materiali più utilizzati sono coriandoli, cemento, bombole d’azoto, spazzole d’autolavaggio, fili di lana. Mai fedele a un unico mezzo espressivo, l’artista si muove tra vari linguaggi – soprattutto installazione e scultura ma anche disegno, video, performance e riferimenti alla pittura – utilizzando un approccio profondamente empirico, che accetta l’improvvisazione, l’inaspettato, l’errore. Il risultato sono opere nelle quali spesso non c’è una forma predefinita, ma dove questa è messa in discussione da processi distruttivi (umani o meccanici) attivati dall’artista, che partono da una riflessione sulla natura effimera delle cose e sui concetti di tempo, perdita, entropia, traccia, memoria, trasformazione. Pervasi da un sentimento tragico, che si fa strada anche dove riferimenti e materiali appaiono più leggeri, i lavori della Favaretto mettono in discussione il feticcio dell’opera d’arte, la sua valenza estetica e la sua stessa essenza, attraverso il riconoscimento della futilità degli sforzi che la generano e la loro possibilità di fallimento.

L'opera

Dal 2010 Lara Favaretto ha aggiunto al suo lessico espressivo il cemento, realizzando una serie di iconografie marcatamente scultoree di cui fa parte Squeezing, 2014, qui esposta. Al fine di esplorare il potenziale espressivo e la duplice natura – solida e malleabile – di questo nuovo strumento, Lara lo perfora, gli imprime lo stampo di altri oggetti quando è ancora fresco. L’artista congela così la propria azione ed i propri stati d’animo: sulla superficie non più liscia dei blocchi, che induriscono gradualmente, affiora la transitorietà dell’esercizio artistico che resta impresso nella materia e nei titoli, che raccontano l’azione a cui sono stati assoggettati i blocchi.

Linda Fregni Nagler

L'artista

  • Nata a Stoccolma nel 1976. Vive e lavora a Milano.

Nella sua pratica artistica Linda colleziona e raccoglie immagini fotografiche preesistenti. Esse diventano il punto di partenza delle sue opere, che sono il frutto di un lungo e meticoloso atto di creazione attraverso processi di rielaborazione e riattivazione che fanno assumere alle immagini nuovi significati.

Opere

Découragé dans la chambre en cherchant les images obscure mémoire de la lumière d’argent, 2017.

L’opera è legata ad una mostra dedicata all’artista e inventore monegasco brasiliano Hercule Florence (1804-79) che la Nagler ha curato nel 2017 con C.Raimondi. Florence utilizzò per la prima volta il termine “Photographie”, usandolo come titolo di un suo manoscritto del 1833 dal valore inestimabile. 180 anni dopo la Nagler ha fotografato questo documento isolandone alcuni termini emblematici, li ha ingranditi e ridisegnati, copiando a mano con la graffite, riportando minuziosamente anche la trama della carta e le macchie d’inchiostro. L’opera si compone di otto disegni, formando un pensiero che sembra quasi emanare dalla fotografia stessa e trovare posto nella storia.

Seconds from Plunge, dalla serie Pour commander à l’air, 2014.

L’opera fa parte di un nucleo presentato a Roma in occasione del Premio MAXXI 2014. Pour commander à l’air è un ciclo di opere composto da quindici fotografie e tre sculture. Le fotografie provengono dal vasto repertorio iconografico del giornalismo di cronaca novecentesco. Gli originali, raccolti negli anni dall’artista, sono stati ri-fotografati e ingranditi in camera oscura. Nelle fotografie ogni figura è in procinto di saltare o si trova sospesa in equilibrio precario. Questo tema è una riflessione sul tempo, sulla sospensione, sulla condizione di assoluta incertezza che l’immagine stessa crea: non rivela nulla di ciò che è accaduto prima né di ciò che è avvenuto dopo il momento dello scatto.

Fuji from Kawaguchi, 2018 dalla serie Hana To Yama.

Da anni la Nagler raccoglie soggetti fotografici della cosiddetta ‘Scuola di Yokohama’, inauguratasi in epoca Meiji (1868-1912) in coincidenza con l’apertura delle frontiere e la modernizzazione del Giappone. Le fotografie, la cui colorazione a mano richiedeva almeno una giornata di lavoro, erano vendute a viaggiatori facoltosi e assecondavano l’idea di esotismo incontaminato che essi avevano del Giappone. La Nagler ha ri-fotografato gli originali in suo possesso, li ha stampati in camera oscura e li ha colorati a mano, dopo un lungo processo di ricerca e messa a punto di materiali e pigmenti che oggi possono essere paragonati a quelli della Yokohama Shashin. L’opera esposta è composta da 4 fotografie del monte Fuji, ritratto dallo stesso privilegiato luogo. Il sofisticato quanto artificioso tentativo originario di restituire realismo grazie alla colorazione delle fotografie, nelle opere della Nagler si svela grazie a campiture uniformi di colore, piccoli prelievi o parti lasciate in bianco e nero, ispirate alle campionature del restauro, che svelano la scala di grigi della fotografia sottostante.

Maurizio Donzelli

L'artista e l'opera

  • Nato a Brescia nel 1958. Vive e lavora a Brescia.

Realizza disegni, dipinti, tessuti, sculture e installazioni con cui cerca un punto di incontro tra il mondo reale, il modo in cui è percepito e le sue rappresentazioni artistiche. Il suo approccio all’arte affonda le proprie radici nelle teorie filosofiche della natura della percezione e di come i fenomeni visivi quali il colore, le immagini e l’arte stessa influenzino il modo in cui osserviamo e comprendiamo la realtà. Il disegno, centrale nella sua pratica artistica, è per lui una ricerca sia intellettuale che tecnica.

Donzelli ha studiato architettura a Venezia; ha insegnato Teoria della percezione e psicologia del colore all’Accademia di Belle Arti NABA e Santa Giulia di Brescia. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni e le sue opere figurano in molte collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

Andrea Galvani

L'artista e le opere

  • Nato a Verona nel 1973. Vive e lavora tra New York e Città del Messico.

La sua ricerca concettuale si avvale di fotografia, video, disegno, scultura, performance, neon, materiali d’archivio e grandi installazioni che vengono sviluppate intorno all’ architettura degli spazi espositivi. I suoi progetti sembrano aumentare la nostra consapevolezza, attingendo a concetti e strumenti provenienti da diverse discipline e assumendo spesso linguaggi e metodologie di carattere scientifico. L’artista documenta azioni collettive, esperimenti visionari e fenomeni di carattere fisico la cui spettacolare monumentalità è paradossalmente instabile ed effimera. Il rapporto con l’esperienza, lo sforzo fisico, il fallimento, i limiti del mezzo e del luogo in cui lavora appaiono come fattori determinanti nello sviluppo di progetti complessi che sono spesso frutto di collaborazioni con istituzioni, università e laboratori di ricerca.

Marguerite Humeau

L'artista

  • Nata in Francia nel 1986. Vive e lavora a Londra.

Ha studiato all’Accademia di Design di Eindhoven ed al Royal College of Art di Londra, dove ha conseguito un master in Design Interattivo. Spaziando dalla preistoria a un futuro di mondi immaginari, nella sua ricerca dei misteri dell’esistenza umana Marguerite Humeau attraversa ampie distanze spazio-temporali. Riporta in vita il perduto, sia che si tratti di forme di vita estinte o di idee scomparse dal nostro orizzonte mentale. Nel colmare il vuoto della conoscenza ricorrendo alla speculazione e a scenari immaginari, il suo scopo è creare nuove mitologie per l’era contemporanea in cui viviamo.

Opera

L’opera qui esposta, realizzata nel corso del periodo di residenza presso la Fonderia Artistica Battaglia, è la vincitrice del Premio BFSP#02. La giuria ha ritenuto “35000 A.C (Sphinx Death Mask)” il progetto più aderente al tema richiesto, ossia l’approfondimento della qualità di conservazione nel tempo del bronzo, e alla traduzione di questo carattere di eternità in un veicolo di valori contemporanei. Il progetto della Humeau combina un’approfondita ricerca storica alla creazione di un’informata mitologia contemporanea. Inoltre, l’utilizzo di un modello realizzato digitalmente crea un interessante dialogo con l’antica tecnica della fusione a cera persa. La Sfinge, colei che protegge l’umano ma anche colei che lo divora, è letta dalla Humeau come una delle più antiche forme di sistema di sorveglianza.

Marzia Migliora

L'artista e l'opera

  • Nata ad Alessandria nel 1972. Vive e lavora a Torino.

Il lavoro di Marzia Migliora si articola attraverso un’ampia gamma di linguaggi che includono la fotografia, il video, il suono, la performance, l’installazione e il disegno. Le sue opere traggono origine da una profonda attenzione per l’individuo e per il suo quotidiano; le tematiche ricorrenti nella sua ricerca sono la memoria come strumento di articolazione del presente o l’analisi dell’occupazione lavorativa come affermazione di partecipazione alla sfera sociale. Ne deriva un lavoro composito capace di alimentare un’esperienza condivisa, di forte partecipazione emozionale e intellettuale per il pubblico.

Giulio Paolini

L'artista e l'opera

  • Nato a Genova nel 1940. Vive a lavora a Torino.

Spesso associato al movimento dell’Arte Povera, Giulio Paolini è meglio conosciuto per una pratica artistica che si inscrive in una dimensione più strettamente concettuale. Sin dagli inizi della sua carriera Paolini ha portato avanti una complessa ricerca incentrata tanto sugli strumenti dell’artista quanto sulla figura di quest’ultimo, visto come colui che opera con il linguaggio ed è complice dello spettatore.

Le principali caratteristiche della sua espressione artistica includono la citazione, la duplicazione e la frammentazione, utilizzate come espediente per rappresentare la distanza tra il modello finito usato per creare l’opera e il “teatro dell’evocazione”.

Più recentemente Paolini ha rivolto con forza la sua incessante ricerca del significato e dello scopo dell’opera verso l’atto espositivo, da lui considerato un momento essenziale di incontro con il lavoro artistico.

Alessandro Pessoli

L'artista
  • Alessandro Pessoli nato a Cervia nel 1963, oggi vive e lavora a Los Angeles. Ha esposto con mostre personali presso importanti istituzioni in Italia e all’estero.

In oltre trent'anni di lavoro, un corpo di opere di grande rilievo che testimonia una radicata convinzione nelle possibilità della pittura e delle sue derive in altri mezzi espressivi. Fondendo cultura pop e immaginario contemporaneo con riferimenti alla storia dell’arte e alla tradizione italiana, Alessandro Pessoli ha costruito un universo onirico abitato da personaggi eccentrici in cui stili e forme del passato sono rivisitati e reinterpretati in tipologie iconografiche metamorfiche e surreali.

L'opera "The Justice" (2021)

Si tratta di una nuova serie di dipinti in cui Pessoli cerca un equilibrio fra disegno e pittura, fra la leggerezza del segno che accenna velocemente le forme e la stratificazione densa di memorie tipica della pittura. Sono ritratti immaginari di figure maschili e femminili, la cui posa classica ricorda da una parte personaggi della Disney e dall’altra le illustrazioni per la Divina commedia di William Blake.

Fiori, mele, uccellini, teschi, spade, serpenti, ali e artigli accompagnano e caratterizzano questi personaggi.

L’iconografia, seppur immaginifica e visionaria, appartiene alla storia dell’arte Occidentale: Adamo ed Eva, La cacciata dal paradiso, l’isolamento, la tentazione, la caduta e la rinascita. Angeli e diavoli prendono le sembianze di giovani teengeer e viceversa. I serpenti, come si vede in the Justice, si trasformano in buffi vermi comix che circondano la figura, e non c’è dramma ma divertimento e gioco.

Le figure sono entrambe ritratte su uno sfondo volutamente lasciato bianco: non esiste ambientazione ma una luce che rende ogni cosa leggibile, evidente, a partire dal piu’ piccolo segno di matita, fino alla densa spatolata di colore. Le figure sono inoltre contenute all’interno di una cornice dagli angoli smussati che ne delimita lo spazio. Questa cornice ha diverse funzioni, è una soglia dalle quale si affacciano i personaggi, una quinta teatrale che incanala lo sguardo all’interno di questo spazio simbolico e la forma dello smartphone con le immagini che scorrono su Instagram.

Infine, i dipinti riportano sotto le figure i rispettivi titoli, e questo crea una associazione con le carte dei tarocchi, dove le immagini di uomini e donne sono simboli che rappresentano le fasi altalenanti della vita, quegli alti e bassi che ne scandiscono il percorso, e come nei tarocchi ci ricordano che tutto è in continuo cambiamento.

© Photo credit Marta Rizzato