La decisione di Moody’s ha portato vendite sui titoli di Stato americani, in particolare quelli a più lunga scadenza, più sensibili alle prospettive sui rating, ma nessun sell-off violento o generalizzato. Il rendimento del Treasury USA a trent’anni ha brevemente superato la soglia ‘psicologica’ del 5%, prima di ridiscendere sotto tale livello. Anche i tassi decennali, dopo un balzo fino al 4,55%, hanno ritracciato.
L’impatto sul mercato dei titoli di Stato “è stato piuttosto contenuto, per diversi motivi. In primis la decisione di Moody’s era attesa, dato che gli analisti dell’agenzia di rating avevano espresso un outlook negativo sul rating americano già nel 2023. A questo si aggiunge la minor rilevanza del rating ‘AAA’ nel mondo degli investimenti rispetto ad alcuni anni fa: se un tempo molti investitori istituzionali nei loro statuti avevano l’obbligo di dedicare parte del loro portafoglio a titoli con il rating più elevato, questo non è più vero oggi. E lo è soprattutto per la mancanza di emittenti ‘AAA’ sul mercato dei titoli di Stato”, spiega Paolo Baldessari, Responsabile Fixed Income & Alternative per l’area dell’Asset Management di Banca Generali.
Infatti, i Paesi che mantengono il rating più elevato da almeno un’agenzia sono circa una decina (Germania, Australia, Canada, Svizzera, Paesi Bassi, Singapore, Svezia, Norvegia, Danimarca, Lichtenstein e Lussemburgo) e alcuni di essi non hanno un volume di debito, e quindi di titoli di Stato, significativi.
“Nello spazio obbligazionario, paradossalmente, si è visto un indebolimento nel mercato di altri titoli di Stato, come i Gilt britannici o i bond giapponesi”, aggiunge il gestore.