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Sorpresa emergenti: la nuova geografia degli investimenti nel 2025
23 luglio 2025#WeeklyWatch

Sorpresa emergenti: la nuova geografia degli investimenti nel 2025

Da inizio anno Cina, India e gli altri mercati dello spazio EM hanno sorpreso positivamente nonostante le tensioni commerciali. A trainare questo risultato il deprezzamento del dollaro e la volontà degli investitori internazionali di una maggiore diversificazione geografica

La minaccia dei dazi e le incertezze geopolitiche e commerciali che hanno caratterizzato i mercati finanziari globali nel 2025 avrebbero dovuto, secondo i trend storici, penalizzare fortemente le economie e i mercati finanziari dei Paesi emergenti. Tuttavia, questo non è avvenuto. Anzi, in uno scenario dominato dalle turbolenze innescate dall’imprevedibile politica commerciale dell’amministrazione Trump negli Stati Uniti, l’indice MSCI Emerging Markets, il benchmark globale sui mercati emergenti, ha messo a segno un rialzo di oltre il 15% nel primo semestre 2025. Un risultato migliore del benchmark globale, MSCI World, fermo a circa +9% e di quello USA, al 6%.

Le ragioni e il ruolo del dollaro

Alla base di questa dinamica sembra esserci proprio l’incertezza innescata dalle politiche dell’amministrazione Trump e il suo impatto sul dollaro.

La narrativa del ‘picco’ dell’eccezionalismo americano ha riattivato l’interesse degli investitori per aree geografiche diverse dagli Stati Uniti, tra cui i mercati emergenti. Di fatto, la negatività diffusa di azioni e titoli di stato americani del primo trimestre 2025, esacerbata dal forte deprezzamento del dollaro, ha ripristinato l’idea che sia necessaria d’ora in avanti una maggiore diversificazione geografica, dopo anni in cui gli investitori internazionali sono stati eccessivamente concentrati su asset statunitensi”, spiega Alessio Enrico Gerbella, Responsabile Gestioni Patrimoniali Family Office di Banca Generali.

Questo nuovo scenario ha avuto tra i maggiori beneficiari proprio i mercati emergenti, “che stanno godendo di flussi di capitali in ingresso, grazie in particolare al deprezzamento del dollaro”, spiega il gestore.

Il biglietto verde è infatti il canale attraverso cui i mercati stanno prezzando una serie di incertezze sugli Stati Uniti: la politica fiscale, i rapporti commerciali con il resto del mondo, prospettive di crescita in indebolimento e i dubbi sulla futura indipendenza della Federal Reserve.

Un dollaro debole è infatti uno dei catalizzatori maggiormente positivi per gli asset emergenti e le aspettative sono per un ulteriore ribasso, alimentato appunto dalla rotazione geografica per finalità di diversificazione e che trova conferma in un’importante survey di Bank of America sui portafogli degli investitori internazionali, che vede il più forte sottopeso di dollaro degli ultimi venti anni”, continua Gerbella.

Gli investitori internazionali mai così negativi sul dollaro da 20 anni

La Cina

Paradossalmente, il trend positivo per i mercati emergenti è anche favorito dalla guerra commerciale in atto, in cui diversi Paesi emergenti si sono mossi rapidamente per raggiungere accordi con Washington e ridurre l’impatto della scure dei dazi di Trump. In prima fila in questo processo, ancora una volta in modo apparentemente paradossale, c’è stata la Cina.

Dopo un inizio burrascoso con l’imposizione di tariffe reciproche a livelli insensati, la Cina è stata tra i primi, e ancora pochissimi Paesi, a firmare un accordo-quadro con gli Stati Uniti e vedere quindi il rischio tariffe recedere in un momento in cui gli altri principali partner commerciali, Europa in primis, navigano ancora in acque incerte”, spiega Gerbella.

La Cina resta quindi una “destinazione tra le preferite degli investitori nell’ambito della rotazione geografica in corso, grazie alle migliorate prospettive di crescita alimentate dai continui stimoli alla domanda interna e dai minori rischi tariffari nei rapporti esterni”, continua il gestore.

L’indice MSCI China, infatti, da inizio anno guadagna (in dollari), oltre il 20%.

L'India

L’altro grande mercato emergente è l’India, anch’essa impegnata in un serrato round di negoziati commerciali con Washington.

Seppur in rallentamento, i tassi di crescita dell’economia del subcontinente restano tra i più alti a livello globale e i mercati finanziari del Paese hanno comunque riprezzato al ribasso nei mesi recenti, creando un nuovo punto d’ingresso interessante per i capitali in cerca di diversificazione geografica globale”, spiega Gerbella.

Gli altri emergenti e "la frontiera"

L’universo dei mercati emergenti è ampio e diversificato e tra i Paesi che hanno retto all’urto delle tariffe ci sono anche alcuni di quelli che venivano inizialmente giudicati più vulnerabili: dal Brasile (+12% l’indice Bovespa da inizio anno), al Messico (addirittura +30% l’MSCI Mexico nella prima metà del 2025). Più indietro invece altri mercati asiatici, in primis Taiwan.

Ci sono infine una serie di paesi emergenti cosiddetti ‘di frontiera’ che rappresentano opportunità prospettiche per gli investitori, per gli spread interessanti, la crescente liquidità che li caratterizza e, più recentemente, per l’evidenza di una minor dipendenza dalle esportazioni verso gli USA. Tuttavia, riteniamo che sia ancora prematura un’esposizione diretta a tali mercati, rispetto invece a un’allocazione diversificata ottenibile investendo in fondi attivi di Emerging Markets”, conclude Gerbella.

Infatti, le diverse caratteristiche dei singoli mercati emergenti e la grande dispersione di valutazioni richiedono una gestione attiva in grado di riconoscere le opportunità e coglierle con i tempi giusti, oltre a mitigare la volatilità e rischi.

Alessio Enrico Gerbella, Responsabile Gestioni Patrimoniali Family Office di Banca Generali. Alessio Enrico Gerbella, Responsabile Gestioni Patrimoniali Family Office di Banca Generali.
La narrativa del ‘picco’ dell’eccezionalismo americano ha riattivato l’interesse degli investitori per aree geografiche diverse dagli Stati Uniti, tra cui i mercati emergenti. Complice il forte deprezzamento del dollaro, si è riaffermata l’idea di una maggiore diversificazione geografica, dopo anni di concentrazione sugli asset statunitensi.

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