“Se un’inflazione ancora prossima al 3% e in accelerazione impone un approccio più cauto in virtù del doppio mandato della Fed, il raffreddamento del mercato del lavoro emerso in modo abbastanza netto nelle ultime rilevazioni rappresenterebbe di per sé un valido motivo per l’istituto centrale per ridurre in modo deciso i tassi di interesse”, sottolinea l’esperto di Banca Generali.
Il mandato politico della Federal Reserve, infatti, non si limita alla stabilità dei prezzi, ma prevede anche di assicurare la piena occupazione nell’economia Usa.
Gli ultimi rapporti mensile sul mercato del lavoro Usa dipingono però un quadro di preoccupante rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro. Il dato sul mese di agosto ha rivelato la creazione di soli 22.000 nuovi posti, mentre negli ultimi report sono stati costantemente rivisti al ribasso i dati dei mesi precedenti, successivi allo shock dei dazi annunciati nel Liberation Day.
Anche la crescita salariale “ha mostrato segni di rallentamento, mentre il tasso di disoccupazione è salito, raggiungendo il livello più alto dal 2021. La quota della popolazione inattiva è aumentata, e le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono in crescita. Sebbene si tratti di movimenti ancora contenuti, la combinazione di inflazione persistente e mercato del lavoro in deterioramento potrebbe alimentare il rischio stagflazionistico, un contesto particolarmente sfidante per la politica monetaria”, avverte Perrotta.
E guardando al 2026, “emerge anche il rischio di una ulteriore riaccelerazione dell’inflazione, alimentata dagli stimoli fiscali negli Stati Uniti e da politiche espansive in Cina, Europa e Giappone. In questo scenario, un allentamento monetario troppo marcato da parte della Fed potrebbe rivelarsi prematuro”, aggiunge l’esperto di Banca Generali.