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Il 2025 dei mercati al giro di boa con l’Europa in testa
02 luglio 2025#WeeklyWatch

Il 2025 dei mercati al giro di boa con l’Europa in testa

I primi sei mesi dell’anno hanno visto il ritorno in grande stile della volatilità, soprattutto dopo il Liberation Day ad aprile. I mercati hanno recuperato, ma il turbolento semestre ha lasciato sul terreno un vincitore, l’azionario europeo, e uno sconfitto, il dollaro. E tra i bond spicca il BTP…

Sui mercati finanziari si è appena chiuso è stato un semestre tumultuoso come non se ne vedevano da tempo. La volatilità è tornata protagonista, soprattutto nel mese di aprile, dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato nel corso del Liberation Day una serie di dazi elevatissimi su tutti i principali partner commerciali degli Usa. Nel caso della Cina, superiori addirittura al 100%. Questi annunci hanno provocato un violento sell-off sui principali listini azionari a livello globale e la volatilità non ha risparmiato neppure beni rifugio come i titoli di Stato. Nel corso delle settimane successive i mercati hanno poi recuperato pienamente le perdite, grazie ai negoziati avviati tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi e alla sospensione dei dazi

Da questi primi sei mesi del 2025, vissuti pericolosamente dai mercati tra alti e bassi, chi è emerso vincitore? E chi ha faticato di più a recuperare?

Azionario

Nel corso del semestre “si è assistito ad una sostanziale divergenza in termini di performance tra il mercato azionario europeo e quello statunitense. I due indici di riferimento, l’MSCI Europe e l’S&P 500 hanno chiuso il periodo rispettivamente in guadagno del 9,4% e in perdita del 6,5% circa in euro”, spiega Andrea Mongardini, portfolio manager di Banca Generali.

A tale differenziale di performance, spiega l’esperto, “ha contribuito sensibilmente il deprezzamento del dollaro americano nei confronti dell’euro. In particolare, il cambio euro-dollaro è passato da 1.03 a 1.175 con una svalutazione del 13,5% circa”. Senza l’effetto valutario, l’indice di riferimento di Wall Street è in guadagno di circa il 6,5%, mentre il Nasdaq segna +7%.

Dopo un lungo periodo di sottoperformance l’Eurozona ha fatto meglio degli Stati Uniti grazie a valutazioni più attraenti e alla minor fiducia da parte degli investitori riguardo all’amministrazione Trump. In tale contesto gli investitori a livello globale, vista l’incertezza derivante dalla politica interna ed estera dell’amministrazione Trump e complice anche un peggioramento della fiducia dei consumatori e una revisione al ribasso delle stime di crescita da parte della Federal Reserve ( passate per l’anno in corso dal 2,1% all’1,4%), hanno diversificato i propri portafogli al di fuori degli USA”, spiega Mongardini.

Il principale beneficiario di questa riallocazione del capitale è stato il Vecchio Continente, trainato in particolar modo dall’annuncio nel mese di febbraio del maxi-stimolo fiscale tedesco, pari a circa 800 miliardi di euro in dieci anni in favore del riarmo e delle infrastrutture. In particolare, a  sovraperformare sono stati il settore bancario (+33%) e quello industriale (+17,8%). “Il primo ha beneficato degli utili record fatti registrare dagli istituti di credito; il secondo dagli investimenti che si renderanno necessari per concretizzare lo stimolo fiscale tedesco”, sottolinea il gestore di Banca Generali.

La forte performance del settore finanziario ha portato l’indice italiano Ftse Mib a essere tra i migliori performer tra i mercati azionari europei, segnando da inizio anno un +15% che colloca Milano tra le migliori piazze europee, riportando su livelli che non vedeva dal 2007.

Tra i mercati emergenti, l’azionario cinese si è distinto chiudendo il periodo a +4,5% circa in euro “grazie in particolar modo alla performance del settore tecnologico, primo obiettivo di crescita del governo cinese”, fa notare Mongardini. Tra gli emergenti spiccano anche l’India (+8% per il Nifty 50 di Mumbai) e il Brasile (+15% per l’indice Bovespa). 

Obbligazionario

Sul fronte dei mercati obbligazionari i rendimenti dei titoli di Stato hanno a loro volta vissuto una fase di volatilità. Dai Treasury Usa, il cui rendimento è letteralmente salito sull’ottovolante durante le settimane dopo il Liberation Day, ai Bund tedeschi, fortemente influenzati dagli annunci del governo tedesco sui piani di spesa, i bond governativi non hanno assolto particolarmente bene al loro ruolo di bene rifugio in tempi turbolenti, pur chiudendo il primo semestre su livelli di rendimento non lontani da quelli di inizio anno (2,5% per il Bund e 4,3% per il Treasury).

Tra i governativi, “è da segnalare l’ottima performance dei BTP italiani, con lo spread rispetto al decennale tedesco sceso fino a quota 86 punti, a testimonianza della ritrovata fiducia degli investitori per il nostro Paese. Il BTP ha sovraperfomato i titoli di Stato dei Paesi core dell’Eurozona come Francia e Germania, anche a causa dell’incertezza politica a Berlino e Parigi”, sottolinea Mongardini.

Nel complesso però “i titoli governativi hanno sottoperformato i titoli corporate. Quest’ultimi hanno beneficiato di rendimenti assoluti attraenti (6% circa per gli High Yield) e di una volatiltà che, come nel 2024, si è dimostrata inferiore a quella delle emissioni governative a lunga scadenza. Lo scenario macroeconomico, nonostante le turbolenze dovute all’annuncio dei dazi, rimane ancora favorevole per il credito corporate che gode anche di fattori tecnici positivi.  Il ritorno, o carry, dei titoli Investment Grade e High Yield consente oggi di sopportare eventuali fenomeni di volatilità di breve periodo”, spiega il gestore di Banca Generali.

Valute e commodity

Il grande sconfitto sui mercati globali, in questa prima metà del 2025, è tra le valute e si tratta del dollaro statunitense. Il Dollar Index, che misura l’andamento del biglietto verde contro 16 delle principali valute globali, ha perso da inizio anno oltre il 10%, il peggior primo semestre dagli anni ’70. Un trend che riflette la percezione di molti investitori di uno status non più intoccabile di ‘bene rifugio’ per gli investitori di tutto il mondo. Le incertezze sulle prospettive dell’economia e dei conti pubblici degli Stati Uniti, oltre che sui conflitti commerciali sono state in larga parte prezzate attraverso il canale valutario, lasciando, come si è visto, Wall Street e i Treasury relativamente stabili dopo una prima fase di volatilità ad aprile.

Tra le sorprese positive l’euro, che è si è rafforzato per i flussi di capitali verso i mercati europei. Ma il vero exploit è quello del rublo, che si è apprezzato di circa il 20% nei confronti dell’euro grazie agli alti tassi d’interesse della Bank of Russia e alle speculazioni su una possibile fine del conflitto Russia-Ucraina.

A fare da contraltare al calo del dollaro ci sono i metalli preziosi e in particolare, l’oro, salito di circa il 25% aggiornando più volte i record storici. Il metallo gialloè ancora sostenuto dai costanti acquisti provenienti dalle principali economie emergenti del mondo, Cina in testa, finalizzati ad una maggiore diversificazione dei loro investimenti esteri”, spiega Mongardini, sottolineando però come anche “platino, palladio e argento hanno messo a segno importanti rialzi, prossimi o addirittura superiori a quelli dell’oro”.

La prima metà del 2025, dopo due anni di mercati in salita senza grandi emozioni, ha ricordato a investitori e risparmiatori che la volatilità può tornare all’improvviso, che trend consolidati come il primato dell’azionario Usa possono indebolirsi e che in specifiche circostanze anche i beni rifugio non sono immuni dalle turbolenze. “Un memento dell’importanza della gestione attiva e professionale, per difendersi dalla possibilità di elevati livelli di volatilità, rischi di concentrazione e improvvisi cambiamenti nel sentiment del mercato”, conclude Mongardini.

Andrea Mongardini, portfolio manager di Banca Generali Andrea Mongardini, portfolio manager di Banca Generali
Nel corso del semestre si è assistito ad una sostanziale divergenza in termini di performance tra il mercato azionario europeo e quello statunitense. Dopo un lungo periodo di sottoperformance l’Eurozona ha fatto meglio degli Stati Uniti grazie a valutazioni più attraenti e alla minor fiducia da parte degli investitori riguardo all’amministrazione Trump. In tale contesto gli investitori a livello globale hanno diversificato i propri portafogli al di fuori degli USA”

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