Al centro dell’attenzione di tutti gli osservatori c’è la politica commerciale americana sotto Donald Trump. Il primo mandato del presidente è stato caratterizzato dalla guerra dei dazi con la Cina, che tra il 2018 e il 2019 ha creato non poca volatilità sui mercati. Durante la campagna elettorale degli scorsi mesi, Trump non ha mancato di utilizzare una retorica aggressiva sul tema del commercio internazionale, promettendo dazi e tariffe nei confronti di diversi Paesi: dal Messico al Canada, dall’Unione Europea alla Cina.
Questi elementi, insieme ai segnali che il mercato del lavoro Usa rimane forte e alle attese di una solida crescita economica, alimentano i timori che l’inflazione possa rialzare la testa negli Stati Uniti.
“Le stime degli analisti vedono l’economia statunitense crescere ad un ritmo del 2,5% circa anche nel 2025. Ed è possibile che le politiche economiche del nuovo governo possano portare ad un’accelerazione dell’inflazione. Questo ha contribuito a far rivedere al mercato le aspettative circa le prossime mosse della Federal Reserve, per la quale ora viene prezzato un solo taglio dei tassi da qui alla fine dell’anno. Questo ha contribuito all’innalzamento del rendimento del Treasury decennale che è arrivato a toccare il 4,70% circa”, spiega Mongardini.
Tutti questi elementi, tra cui l’elevato differenziale di crescita tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, hanno fatto in modo che, dall’elezione di Trump, il dollaro si sia “apprezzato rispetto alle principali valute a livello globale. In particolare, la moneta americana si è apprezzata del 5% contro l’euro. Tuttavia, è da notare come il neo-insediato presidente americano nella sua precedente esperienza alla Casa Bianca avesse più volte osteggiato una valuta americana troppo forte, quindi, bisognerà prestare cautela viste le valutazioni attuali”, avverte il gestore di Banca Generali.