Il fenomeno della deglobalizzazione, però, ha radici precedenti allo scoppio della pandemia e del conflitto. Già nel 2019, i ricercatori Mario Lorenzo Janiri e Lorenzo Sala hanno messo in evidenza alcuni dati che davano il segno di una inversione di trend, iniziata addirittura nel 2007-2008, ai tempi del crack di Lehman Brothers.
Il valore delle merci e dei servizi esportati in tutto il mondo, per esempio, è cresciuto in maniera verticale fino al 2007, raggiungendo la soglia mai vista prima di 20mila miliardi di dollari. Poi, però, ha avuto un andamento altalenante nel decennio successivo al 2007, muovendosi tra 20mila e 25mila miliardi di dollari. Insomma, la circolazione sempre più libera di merci e servizi in ogni angolo del globo, dopo una marcia impetuosa, ha subito indubbiamente una frenata.
In tale contesto, si sono poi inserite appunto le tensioni geopolitiche internazionali, con la guerra in Ucraina che ha portato un bel po’ di sanzioni alla Russia e ha messo in discussione i vecchi equilibri commerciali. Secondo Gianmarco Ottaviano, professore di economia alla Bocconi, negli anni a venire non dobbiamo aspettarci “la deglobalizzazione temuta o auspicata da molti commentatori, quanto (piuttosto) una ri-globalizzazione selettiva, cioè una riconfigurazione dell’economia globale per gruppi integrati di paesi affini, coalizioni in competizione tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale”.