
A sostenere questa dinamica è stata anche la politica monetaria accomodante della BoJ, che per molti anni ha puntato a stimolare la domanda interna e ora a iniziato a ridurre gli stimoli ed alzare i tassi per contrastare l’aumento dei prezzi.
I decenni perduti di deflazione e stagnazione del Giappone sembrano finiti, ma non sembra che la notizia sia del tutto positiva, per le incertezze che il ritorno dell’inflazione e dei tassi più alti portano con sé per il debito pubblico del Sol Levante e il futuro dell’export delle imprese nipponiche.
La combinazione di deflazione e stagnazione è stata, dagli anni ’90 in poi, una caratteristica così peculiare dell’economia giapponese che altri Paesi avviati verso tale condizione sono stati definiti “giapponificati”.
Dopo anni di deflazione, il Giappone si trova oggi a fare i conti con un’inflazione persistente. A febbraio 2025, il tasso annuo si è attestato al 3,7%, in lieve calo rispetto al 4,0% di gennaio, ma ancora ben al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato dalla Bank of Japan (BoJ). E le previsioni della BoJ indicano un’inflazione media del 2,5% per l’anno fiscale 2025 e del 2,0% per il 2026.
“A sostenere questa dinamica è stata anche la politica monetaria accomodante della BoJ, che per molti anni ha puntato a stimolare la domanda interna e ora a iniziato a ridurre gli stimoli ed alzare i tassi per contrastare l’aumento dei prezzi”, spiega Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali.
Tuttavia, il ritorno dell’inflazione e il conseguente aumento dei tassi stanno suscitando preoccupazioni.
In risposta, il governo ha annunciato un pacchetto di aiuti da 900 miliardi di yen (circa 6,3 miliardi di dollari) per sostenere le imprese colpite dai dazi, finanziato attraverso riserve di bilancio.
Ma il sostegno fiscale a sua volta rischia di acuire le preoccupazioni sul debito, con i rendimenti dei titoli di Stato decennali giapponesi che hanno raggiunto l’1,5%, un livello impensabile fino a poco tempo fa, quando i rendimenti erano ancora a zero. “Questo rialzo riflette sia le aspettative di inflazione duratura sia la crescente pressione sul governo per contenere il debito”, sottolinea il gestore di Banca Generali.
Longhi avverte come molti analisti sono preoccupati e hanno messo in guardia dalla possibilità che “se la BoJ dovesse perdere il controllo della curva dei rendimenti, i bond giapponesi potrebbero diventare una fonte di instabilità per i mercati globali, data la loro rilevanza sistemica. In tale scenario, gli investitori potrebbero iniziare a richiedere premi di rischio più elevati, con conseguenze sul costo del debito e sulla sostenibilità fiscale di una delle maggior economie globali”.
In sintesi, “il Giappone si trova a gestire un equilibrio delicato tra inflazione, debito elevato e pressioni esterne. Le scelte politiche dei prossimi mesi saranno decisive per definire la traiettoria economica del Paese. La sfida sarà mantenere la crescita, garantendo al contempo stabilità finanziaria e competitività internazionale”, spiega Longhi.
In questo scenario, conclude il gestore, è come sempre “importante affidarsi alla gestione attiva e professionale, per bilanciare rischi e opportunità di un mercato, quello nipponico, che resta tra i più importanti a livello mondiale”.
A sostenere questa dinamica è stata anche la politica monetaria accomodante della BoJ, che per molti anni ha puntato a stimolare la domanda interna e ora a iniziato a ridurre gli stimoli ed alzare i tassi per contrastare l’aumento dei prezzi.