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Stagflazione, quali le implicazioni per il risparmio?
Stagflazione, quali le implicazioni per il risparmio?
22 giugno 2022#WeeklyWatch

Stagflazione, quali le implicazioni per il risparmio?

Stagnazione e inflazione. È il binomio di fattori che presto potrebbe caratterizzare l’economia mondiale o almeno quella di molti paesi industrializzati. Si tratta di uno scenario mai visto prima da molte persone, soprattutto dai più giovani, perché non si verifica da diversi decenni.

Per descriverlo, gli analisti usano un termine tecnico: stagflazione, una parola che è il frutto della crasi di altri due vocaboli (stagnazione e inflazione, appunto) e che indica una situazione in cui i prezzi al consumo salgono a ritmi sostenuti (inflazione) anche se, contemporaneamente, l’economia non cresce (stagnazione) o addirittura è in recessione.

Cosa comporta l’inizio di una fase di questo tipo?

Per gli operatori economici non è sicuramente una buona notizia. Di solito, infatti, l’inflazione si accompagna a periodi di crescita economica, quando anche i consumi e i redditi salgono e c’è sul mercato un’elevata domanda di beni e servizi. Può accadere però che la crescita dei prezzi, oltre che da un incremento dei consumi, sia generata da altri fattori come i rincari delle materie prime, in primis di quelle energetiche. È proprio quello che accadde negli anni ’70 del secolo scorso quando ci furono le crisi petrolifere legate alle tensioni in Medio Oriente. Ed è quello che è accaduto negli ultimi mesi quando è scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina, due grandi produttori di materie prime. Lo scoppio del conflitto e le tensioni internazionali ha esacerbato i rincari delle commodity già avvenuti nei mesi precedenti, legati a una ripresa della domanda mondiale dopo i duri mesi della pandemia del Covid-19. Ecco allora che lo scenario si complica e l’inflazione, invece di accompagnarsi alla crescita, si accompagna a una fase di indebolimento dell’economia.

Stagflazione: il legame con il rialzo dei tassi d’interesse e i cambi

Per fermare la fiammata dei prezzi, le banche centrali stanno innalzando i tassi d’interesse, cercando di tenere a bada i consumi e ridurre la circolazione di moneta (che è sempre un propulsore dell’inflazione). Lo ha già fatto la Federal Reserve americana, che a metà giugno li ha aumentati dello 0,75%, portandoli all’1,5-1,75%. E lo farà presto anche la Banca Centrale Europea (Bce), che probabilmente alzerà i tassi dello 0,25% a luglio, preparandosi poi a una nuova manovra restrittiva anche a settembre.

Nella stessa direzione si è mossa a metà giugno anche la Banca Centrale Svizzera, che ha ancora i tassi negativi ma li ha ritoccati all’insù di mezzo punto, da -0,75% a -0,25%. Unica in controtendenza è la banca centrale del Giappone (Bank of Japan) che non sembra intenzionata ad alzare il costo del denaro mantenendolo in territorio negativo (-0,1%). Il che ha aperto la strada a una svalutazione dello yen sul mercato dei cambi, per ragioni comprensibili visto che le attività finanziarie denominate nella divisa nipponica rendono meno di quelle di altri paesi e hanno perso appeal tra gli investitori internazionali.

A parte l’eccezione cinese, con la PBoC che promuove una politica monetaria accomodante per stimolare la ripresa del Paese come quella nipponica, oggi molti osservatori si chiedono se l’aumento dei tassi sia davvero efficace per frenare le spinte inflazionistiche. Negli Stati Uniti, c’è indubbiamente una fiammata dei consumi che spinge i prezzi e non pochi economisti ritengono che la Federal Reserve si sia mossa addirittura troppo tardi per frenare la domanda. In Europa c’è invece chi, come Francesco Giavazzi, professore della Bocconi e consigliere economico del governo, ritiene piuttosto che la Bce abbia sbagliato decidendo di alzare i tassi. In Europa, secondo Giavazzi, non c’è un’inflazione generata dai consumi come negli Stati Uniti ma dovuta principalmente ai rincari delle materie prime, vista la forte dipendenza dal gas russo di alcuni paesi del Vecchio Continente. Dunque, sempre secondo Giavazzi, un rialzo del costo del denaro nel breve periodo potrebbe rivelarsi inefficace o addirittura controproducente.

Banche Centrali e Stagflazione: il punto di vista di Tommaso Monacelli, professore alla Bocconi

Sugli aspetti sopra evidenziati, è di diverso parere Tommaso Monacelli, professore ordinario di Economia all'Università Bocconi di Milano, e fellow degli istituti di ricerca IGIER Bocconi e del CEPR di Londra. Se è vero che la situazione in Europa e negli Stati Uniti è differente, per Monacelli la sostanza non cambia di molto. Negli Stati Uniti c’è si un’inflazione spinta anche dai consumi (non a caso è più alta rispetto al Vecchio Continente) ma, su entrambe le sponde dell’Atlantico, ciò che deve preoccupare è comunque l’aumento dei prezzi legato soprattutto a uno shock di offerta, per quel sta accadendo nel mercato delle materie prime.

In uno scenario di questo tipo, dice Monacelli “le banche centrali non devono agire in modo puntale, bensì devono dare una risposta decisa, segnalando le proprie azioni future”. In altre parole, le autorità di politica monetaria devono “annunciare oggi ciò che faranno domani e dopodomani, in modo tale di gestire al meglio le aspettative di inflazione, che sono il motore principale dell’inflazione. E ciò vale soprattutto quando i rialzi dei prezzi coinvolgono beni che incidono molto nel basket dei consumi come la benzina, l’elettricità o il riscaldamento”.

Il professore della Bocconi faceva queste considerazioni già nel marzo scorso ma, purtroppo, a distanza di mesi non si può dire che le banche centrali, accusate da molti osservatori di essersi mosse in ritardo, abbiano imboccato per tempo la direzione da lui auspicata. “Prendere scelte di politica monetaria in una fase di crescita economica è abbastanza facile”, continua Monacelli “ma, in uno scenario come quello attuale, le cose sono molto più complicate”.

In altre parole, oggi i banchieri centrali devono destreggiarsi in un difficile gioco di equilibri in cui sono costretti a pesare sul piatto della bilancia due variabili: per fermare la fiammata dell’inflazione occorre aumentare i tassi d’interesse ma, contemporaneamente, tale innalzamento finisce per avere effetti negativi sula crescita di un’economia già in frenata.

Quali conseguenze per risparmiatori e investitori?

Aldilà dei giudizi sull’operato delle banche centrali, è innegabile che una possibile stagflazione creerebbe uno scenario complesso per chi investe. Nel settore obbligazionario, la prospettiva di ulteriori aumenti dei tassi potrebbe avere ulteriori effetti negativi sui prezzi dei bond.

I mercati azionari, potrebbero comunque risentire del sentiment meno positivo sulla crescita economica a livello globale. Ovviamente si tratta di considerazioni puramente teoriche e non va dimenticato che i prezzi dei titoli scontano già in anticipo gli scenari futuri. Per questo, anche in uno scenario di stagflazione, emerge l’importanza della diversificazione del portafoglio e dell’avere il supporto di un bravo consulente finanziario, in grado di interpretare i possibili scenari e di consigliare la giusta dose di liquidità da detenere nei periodi di incertezza come quello attuale.

Considerazioni simili vanno fatte anche per l’immobiliare, asset class che, come tutti i cosiddetti beni reali, conserva tradizionalmente valore (e protegge la ricchezza) nei periodi caratterizzati da alta inflazione. Resta ovviamente l’incognita sul mercato dei mutui, che è il principale motore del mercato del mattone. Tassi d’interesse più alti significano infatti mutui più costosi e un po’ meno accessibili di prima. I prossimi mesi daranno dunque cruciali per capire quale strada imboccherà anche il comparto immobiliare.

Tommaso Monacelli, Professore Ordinario di Economia all'Università Bocconi Tommaso Monacelli, Professore Ordinario di Economia all'Università Bocconi
Le Banche Centrali dovrebbero annunciare oggi ciò che faranno domani e dopodomani, in modo tale di gestire al meglio le aspettative di inflazione, che sono il motore principale dell’inflazione. E ciò vale soprattutto quando i rialzi dei prezzi coinvolgono beni che incidono molto nel basket dei consumi come la benzina, l’elettricità o il riscaldamento.

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