Per fermare la fiammata dei prezzi, le banche centrali stanno innalzando i tassi d’interesse, cercando di tenere a bada i consumi e ridurre la circolazione di moneta (che è sempre un propulsore dell’inflazione). Lo ha già fatto la Federal Reserve americana, che a metà giugno li ha aumentati dello 0,75%, portandoli all’1,5-1,75%. E lo farà presto anche la Banca Centrale Europea (Bce), che probabilmente alzerà i tassi dello 0,25% a luglio, preparandosi poi a una nuova manovra restrittiva anche a settembre.
Nella stessa direzione si è mossa a metà giugno anche la Banca Centrale Svizzera, che ha ancora i tassi negativi ma li ha ritoccati all’insù di mezzo punto, da -0,75% a -0,25%. Unica in controtendenza è la banca centrale del Giappone (Bank of Japan) che non sembra intenzionata ad alzare il costo del denaro mantenendolo in territorio negativo (-0,1%). Il che ha aperto la strada a una svalutazione dello yen sul mercato dei cambi, per ragioni comprensibili visto che le attività finanziarie denominate nella divisa nipponica rendono meno di quelle di altri paesi e hanno perso appeal tra gli investitori internazionali.
A parte l’eccezione cinese, con la PBoC che promuove una politica monetaria accomodante per stimolare la ripresa del Paese come quella nipponica, oggi molti osservatori si chiedono se l’aumento dei tassi sia davvero efficace per frenare le spinte inflazionistiche. Negli Stati Uniti, c’è indubbiamente una fiammata dei consumi che spinge i prezzi e non pochi economisti ritengono che la Federal Reserve si sia mossa addirittura troppo tardi per frenare la domanda. In Europa c’è invece chi, come Francesco Giavazzi, professore della Bocconi e consigliere economico del governo, ritiene piuttosto che la Bce abbia sbagliato decidendo di alzare i tassi. In Europa, secondo Giavazzi, non c’è un’inflazione generata dai consumi come negli Stati Uniti ma dovuta principalmente ai rincari delle materie prime, vista la forte dipendenza dal gas russo di alcuni paesi del Vecchio Continente. Dunque, sempre secondo Giavazzi, un rialzo del costo del denaro nel breve periodo potrebbe rivelarsi inefficace o addirittura controproducente.