Skip to Main Content
  • Sito in italiano, cambia in Inglese
Skip to Main Content
Perché il conflitto in Iran non scalda i mercati
25 June 2025#WeeklyWatch

Perché il conflitto in Iran non scalda i mercati

Con l’eccezione del petrolio, la guerra tra Israele e Iran, con l’intervento degli Stati Uniti, non ha sconvolto le principali asset class finanziarie. E anche i movimenti dell’oro nero sono stati rapidamente riassorbiti. I mercati si sono ‘assuefatti’ alle tensioni geopolitiche? 

La “Guerra dei 12 Giorni”, come l’ha ribattezzata il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sembra già finita. Il conflitto che ha visto coinvolti Israele, Stati Uniti e Iran era iniziato lo scorso 13 giugno, quando Tel Aviv ha lanciato l’operazione ‘Leone Nascente’ contro la Repubblica islamica, accusata di essersi avvicinata "a un punto di non ritorno" nello sviluppo di un'arma nucleare. Ai bombardamenti dell’aviazione israeliana sui siti nucleari e sulle installazioni militari iraniane è seguita la risposta di Teheran, con il lancio di razzi verso le città dello Stato ebraico. Infine, l’ingresso in campo degli Usa, con i raid aerei del 22 giugno, su tre siti nucleari in Iran e la successiva rappresaglia iraniana sulla base americana in Qatar. Infine, il 24 giugno, l’annuncio di una fragile tregua da parte della Casa Bianca e l’allentamento della tensione.

Il conflitto è stato breve ma ha minacciato di mettere a repentaglio gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, area cruciale per l’economia globale a causa della sua importanza per le forniture mondiali di greggio. Tuttavia, i mercati sembrano aver assorbito il colpo senza che si verificasse un aumento significativo della volatilità sulle principali asset class, per non parlare del panico che istintivamente ci si aspetterebbe in caso di un conflitto nella regione da cui dipende una parte rilevante delle forniture energetiche globali.

Sul Vix, l’indice che misura la “paura” sui mercati, o più precisamente il livello di volatilità, “non c’è stato un impatto degno di nota. L’indice è salito fino a un massimo di circa 22 punti il 19 giugno, prima dell’intervento degli Stati Uniti, un livello nella media degli ultimi mesi e nettamente più basso rispetto ai picchi raggiunti nel periodo dopo il Liberation Day”, spiega Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali.

In generale i mercati azionarihanno assistito a movimenti intraday piuttosto contenuti a seguito del conflitto. Negli ultimi anni gli investitori si sono gradualmente ‘assuefatti’ alle tensioni geopolitiche e cedono sempre meno a reazioni improvvise di fronte a nuovi conflitti, o all’intensificazione di quelli in atto”, prosegue l’esperto.

Se si guarda all’altra asset class principale, quella obbligazionaria, i movimenti sono stati ancora meno significativi. “I bond guardano altrove per trovare direzione, in particolare alle mosse delle banche centrali, Fed e Bce, e ai piani di politica fiscale dell’amministrazione Trump e dei Paesi europei, nel caso di questi ultimi in particolare la spesa per la difesa”, aggiunge Longhi.

Il balzo del petrolio

Come prevedibile, l’asset più influenzato dalla “Guerra dei 12 Giorni” è stato il petrolio. Le quotazioni dell’oro nero, stabili attorno ai 60 dollari al barile nelle settimane precedenti l’escalation, sono schizzate in pochi giorni fin oltre i 75 dollari. Anche questa impennata non ha però avuto vita lunga e il prezzo del barile è tornato a scendere rapidamente, assestandosi in area 65 dollari nelle ultime sedute.

Solo al picco della tensione, quando alcuni osservatori hanno brevemente paventato la chiusura da parte dell’Iran dello stretto di Hormuz, il principale snodo mondiale per il commercio del petrolio, le quotazioni sono salite. Ma la rapida de-escalation, insieme a un quadro dei fondamentali che non supporta un aumento del prezzo del greggio, ha rapidamente riportato le quotazioni a scendere. In particolare, negli Stati Uniti è chiaro che l’amministrazione Trump si sta adoperando per aumentare la produzione interna di greggio e mantenere bassi i prezzi di petrolio e benzina alla pompa”, sottolinea Longhi.

Il rifugio dell’oro

L’oro, bene rifugio per eccellenza, è sui massimi storici assoluti ormai da mesi, da un lato a causa delle numerose incertezze geopolitiche e commerciali, dall’altro per dinamiche fondamentali legate alla forte domanda delle banche centrali per incrementare il peso del metallo giallo nelle loro riserve. I primi raid israeliani sull’Iran hanno portato le quotazioni a un picco in area 3.400 dollari l’oncia il 13 giugno, per poi correggere in conseguenza della de-escalation di lunedì.

Il movimento è stato comunque ridotto se lo si confronta al +15% dei giorni immediatamente successivi al Liberation Day, durante i quali gli investitori erano veramente alla ricerca di beni rifugio”, continua il gestore.

La reazione composta dei mercati finanziari alla “Guerra dei 12 Giorni” ricorda come momenti di tensione e di conflitto geopolitico non si riflettano necessariamente in violenti movimenti delle Borse e dei mercati.

Si tratta di uno scenario nel quale è doppiamente importante non farsi prendere dall’emotività e  avvalersi di una gestione attiva e professionale. Solo così è possibile riconoscere e distinguere l’impatto dei trend fondamentali dalle reazioni innescate da eventi specifici, differenziando la strategia a seconda dei potenziali impatti sulle singole specifiche asset class. Inoltre, la gestione attiva può aiutare anche a prendere in considerazione elementi tecnici chiave non strettamente legati agli ultimi eventi, come l’importanza di una copertura dal rischio valutario. In questa fase, ad esempio, la debolezza del dollaro sta penalizzando gli investitori dell’Eurozona, intensificando i movimenti di molti asset e potenzialmente mettendo in grande difficoltà gli investitori fai-da-te”, conclude Longhi.

Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali
"Non c’è stato un impatto degno di nota. L’indice è salito fino a un massimo di circa 22 punti il 19 giugno, prima dell’intervento degli Stati Uniti, un livello nella media degli ultimi mesi e nettamente più basso rispetto ai picchi raggiunti nel periodo dopo il Liberation Day"

Condividi