La “Guerra dei 12 Giorni”, come l’ha ribattezzata il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sembra già finita. Il conflitto che ha visto coinvolti Israele, Stati Uniti e Iran era iniziato lo scorso 13 giugno, quando Tel Aviv ha lanciato l’operazione ‘Leone Nascente’ contro la Repubblica islamica, accusata di essersi avvicinata "a un punto di non ritorno" nello sviluppo di un'arma nucleare. Ai bombardamenti dell’aviazione israeliana sui siti nucleari e sulle installazioni militari iraniane è seguita la risposta di Teheran, con il lancio di razzi verso le città dello Stato ebraico. Infine, l’ingresso in campo degli Usa, con i raid aerei del 22 giugno, su tre siti nucleari in Iran e la successiva rappresaglia iraniana sulla base americana in Qatar. Infine, il 24 giugno, l’annuncio di una fragile tregua da parte della Casa Bianca e l’allentamento della tensione.
Il conflitto è stato breve ma ha minacciato di mettere a repentaglio gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, area cruciale per l’economia globale a causa della sua importanza per le forniture mondiali di greggio. Tuttavia, i mercati sembrano aver assorbito il colpo senza che si verificasse un aumento significativo della volatilità sulle principali asset class, per non parlare del panico che istintivamente ci si aspetterebbe in caso di un conflitto nella regione da cui dipende una parte rilevante delle forniture energetiche globali.
Sul Vix, l’indice che misura la “paura” sui mercati, o più precisamente il livello di volatilità, “non c’è stato un impatto degno di nota. L’indice è salito fino a un massimo di circa 22 punti il 19 giugno, prima dell’intervento degli Stati Uniti, un livello nella media degli ultimi mesi e nettamente più basso rispetto ai picchi raggiunti nel periodo dopo il Liberation Day”, spiega Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali.
In generale i mercati azionari “hanno assistito a movimenti intraday piuttosto contenuti a seguito del conflitto. Negli ultimi anni gli investitori si sono gradualmente ‘assuefatti’ alle tensioni geopolitiche e cedono sempre meno a reazioni improvvise di fronte a nuovi conflitti, o all’intensificazione di quelli in atto”, prosegue l’esperto.
Se si guarda all’altra asset class principale, quella obbligazionaria, i movimenti sono stati ancora meno significativi. “I bond guardano altrove per trovare direzione, in particolare alle mosse delle banche centrali, Fed e Bce, e ai piani di politica fiscale dell’amministrazione Trump e dei Paesi europei, nel caso di questi ultimi in particolare la spesa per la difesa”, aggiunge Longhi.